Vendita opera online Francesco Cassanelli

Aldo Maria Pero

Francesco Cassanelli è un artista pugliese con una lunga carriera, anche di insegnante, alle spalle.
Nativo di Bisceglie, risiede nella ligure Chiavari, cui dedica l’omaggio che pubblichiamo dopo aver ricordato gli avvenimenti più significativi di una carriera molto significativa, iniziata con gli anni di studio presso l’Istituto d’Arte e l’Accademia di Belle Arti, Sezione pittura, di Bari.

Anni proficui di maturazione, suggellati da un diploma ottenuto con il massimo dei voti, un raro e prezioso 110 e lode, cui non fu estranea la bella tesi sapientemente argomentata su “Pesca e pescatori a Bisceglie“. Sùbito dopo, dal 1981 al 2019, parallelamente ad un denso impegno artistico, ha insegnato Arte di decorazione pittorica e scenografica presso il Liceo Artistico “Luzzati”, l’ex Istituto Statale d’Arte di Chiavari, la città dove abitualmente risiede. In questo intenso quarantennio ha alzato il sipario su decine di personali e di collettive. La carriera artistica ha visto il proprio esordio in una lontana collettiva del 1979 ed è proseguita con un fitto calendario sino all’oscura stagione della pandemia, regalando fama e prestigiosi riconoscimenti a Cassanelli.

La sua città del cuore è Chiavari, un gioiello della costiera ligure, ricca del fascino che le ali del tempo le conferiscono, onusta di storia, vivida di arte e cultura e non priva di benemerenze sportive, a dimostrazione della vivacità esistenziale del suo popolo, fatto di marinai, di imprenditori, di commercianti e di emigranti, quelli che ancora oggi, dai Paesi d’approdo –l’Argentina, il Cile, l’Uruguay e il Perù– mantengono vivo un vivace scambio di idee, di persone e di interessi economici.
La vocazione sudamericana della città è testimoniata dai nomi che recano strade importanti: Corso Buenos Aires, Corso Montevideo, Corso Valparaiso, e così via, mentre Genova ha privilegiato il ricordo dei Libertadores, come ad esempio José de San Martin o Simón Bolívar.

I primi insediamenti nell’area del Tigullio risalgono all’VIII secolo a.C. e la città in età romana sviluppò le caratteristiche che ancor oggi la caratterizzano, le attività commerciali e marittime. La fine dell’Impero d’Occidente la vide vittima delle invasioni barbariche e di una successiva confusa stagione medievale. Assunse una sua precisa fisionomia durante il breve dominio napoleonico e la successiva entrata nel Regno di Sardegna in séguito alle delibere del Congresso di Vienna. A titolo di curiosità possiamo aggiungere che a Chiavari nacquero i nonni di Giuseppe Mazzini e di Giuseppe Garibaldi e che quest’ultimo, dopo la cessione di Nizza alla Francia, rimasto senza patria, divenne cittadino chiavarese. Al contrario di Napoleone, concepito genovese e nato francese, Garibaldi fu così sempre italiano.

Un artista che si proponga di offrire in poche opere un’idea esauriente della propria città deve possedere almeno due doti: l’intelligenza delle scelte e la tecnica, soprattutto l’impiego della terza dimensione, necessaria a realizzarle. Cassanelli, da professore e pittore di vaglia, le possiede entrambe.

Per questo omaggio alla sua città del cuore ha fornito otto pregevoli vedute, tutte olio su tela, eseguite tra il 2008 e il 2021:

 

Passeggiata a mare″ (60 x 80, 2020)

Nel più luminoso e gioioso paesaggio che Cassanelli ha inviato risulta evidente la sua tendenza a documentare le opere degli uomini, non la loro diretta presenza. La passeggiata cui invita non è facilmente percorribile poiché tutto lo spazio è occupato da una sorta di rimessaggio di barche, uniformemente coperte da teli bianco-blu. Più oltre, si delineano barriere di scogli sulle quali s’infrangono dolcemente onde brevi che limitano lo sguardo spingendolo più oltre, verso il mare aperto e, in alto, verso il cielo sereno.

Siamo di fronte ad un pittore che non si limita a vedere, ma che desidera trasmettere sensazioni e infatti dobbiamo rilevare che nell’insieme s’insinua una curiosa nota surreale dovuta al contrasto un po’ strano quanto affascinante di un cielo meno terso della spiaggia sulla quale si riflette.

 

″Chiavari vista dall’alto″ (60×80, 2021)

Berthe Morisot, una delle più importanti esponenti dell’Impressionismo, in una lettera del gennaio 1892 indirizzata ad Émile Zola scriveva:

«Caro amico, so di avervi già sottoposto più volte questo interrogativo, ma mi pare che voi abbiate sempre aggirato la domanda, che è questa: voi descrivete paesaggi dell’anima, io immagini colte dagli occhi, ma i miei occhi possono commuoversi o no? In altri termini, dipingere un paesaggio è un fatto oggettivo o soggettivo?».

Neppure in questa occasione lo scrittore rispose, limitandosi ad osservare con gentilezza che il quesito era un po’ ozioso.

Esaminando i paesaggi di Cassanelli per trovare, ″comme par hasard″, una risposta all’interrogativo che tormentava la Morisot, si può concludere che in lui esiste un certo grado di partecipazione emotiva (chi può dimenticare il tramonto in viola?) che si fonde con una ricerca di oggettività, come si può constatare in questa veduta dall’alto, impostata su un profondo scorcio diagonale sottolineato dalla successione di colori che ne prolunga la visione. Al verde scuro di una macchia boscosa succede la luminosità della costa che dall’abitato, racchiudendo il golfo del Tigullio, si prolunga sino ad incontrare il cielo.

Nessuna presenza umana, ma i segni di una vita vissuta fra terra e mare ricordano la tradizione di gente che sull’oceano ha in passato riposto tante speranze, sì da arricchire la visione di Cassanelli di una memore eco d’altri tempi.

 

″Tramonto viola″ (50×60, 2021)

Di fronte alla grandiosità della rappresentazione, verrebbe da dire che, come in casi analoghi di titoli leggiadri elaborati da Claude Debussy per ″Images″ o da Franz Liszt per le sue ″Années de pèlerinage″, poco importa il colore del tramonto, viola o che altro si preferisca. Tale insensibilità cromatica può essere del comune osservatore ma non appartenere all’artista o chi sia abituato a interrogarsi sulle ragioni dei fatti.

Gettare gli occhi su questa tela provoca una intensa emozione per la straordinaria potenza rappresentativa e per la rara sagacia tecnica. Reazioni immediate cui fa sùbito dopo séguito una crescente malinconia, provocata dal colore notturno che invade la scena, un immenso deserto sul quale si stendono con progressive campiture tre livelli di deserti silenzi del mare e dello spirito.

All’estremo orizzonte, nell’ultima luce che volge al tramonto, barbagliano i raggi esangui di uno smorto sole e sale un crescente senso di disagio. L’uomo si sente piccolo di fronte all’infinità del creato e avverte tutta la sua inanità onde freme e soffre nel violaceo occaso dei sentimenti.

 

″Palazzo Bianco″ (50×60, 2021)

Per quanto deserta come gli altri analoghi soggetti dipinti da Cassanelli, la piazza su cui affaccia il Palazzo Bianco risulta più ariosa a causa della prospettiva diretta accorciata verso il suo centro per slanciarsi in una vera fuga sulla destra, dove si proietta lontano dopo aver superato un nucleo di verzura.

L’atmosfera che circonda il Palazzo, così elegante nelle sue regolari scansioni architettoniche, è più limpida rispetto a quella che si incontra nelle altre e l’insieme è immerso in una immobile serenità che getta una vasta ombra sullo spazio antistante il candido edificio. Come in certe tele di De Chirico, Ensor o Magritte, qui fluisce dall’insieme un senso di sospensione, come se sulla superficie del quadro dovesse avvenire qualcosa e una sottile angoscia affiora nell’animo come avviene nei racconti di Howard Phillips Lovecraft.

 

″Palazzo dei portici neri″ (50×60, 2021)

Anche la piazza che fronteggia il Palazzo dei portici neri è deserta, ma con atteggiamento da accorto fotografo, Cassanelli ha modificato nettamente l’inquadratura, facendo in modo che la piazza s’incunei ad angolo fra due palazzi, uno dei quali, il più nobile, presenta una teoria di portici che costituiscono una delle più interessanti caratteristiche dell’arredo urbano di Chiavari, una città che conserva la sua antica eleganza e che merita l’apprezzamento di un pittore come Cassanelli del quale non ho ancora parlato se non per celebrarne il rapporto con lo spazio. Occorre aggiungere una notevole sensibilità e capacità tecniche che raggiungono livelli virtuosistici.

 

″Piazza Mazzini″ (50×60, 2016)

Tutte le piazze dipinte da Cassanelli sembrano come sospese fra cielo e terra, distese in prospettive profonde che accentuano l’assenza di vita, di presenza umana. Richiamano insieme D’Annunzio e De Chirico.

Il D’Annunzio de ″Le Città del silenzio″ con l’invocazione alla «deserta bellezza di Ferrara» e il De Chirico delle misteriose, silenti e deserte ″Piazze d’Italia″ che influenzarono il Surrealismo e una parte della pittura novecentesca.

Piazza Mazzini″ è silente ed impone un inquietante senso di chiuso mistero. Osserviamola. Sotto un cielo lontano, vagamente corrusco, la piazza si distende e pare immensa.
Scorciata in prospettiva leggermente sbieca, il palazzo che la chiude al fondo consente ai suoi lati due vie di fuga che si perdono nell’ombra, ombra che si distende dal punto di osservazione sino a metà piazza lambendo la base del monumento a Mazzini che s’innalza al centro. Su tutto grava il primo incupirsi del tramonto. La piazza è deserta ma non anonima; al contrario, ha un suo carattere, carattere fatto di malinconia e, forse, dell’inesprimibile desiderio di perduti tempi.

 

″I tetti di Chiavari″ (40×50, 2008)

Una delle caratteristiche più significative del paesaggismo di Cassanelli è la sapienza prospettica, che non è ancora poesia ma costituisce l’asse portante della sintassi compositiva, nell’àmbito della quale hanno modo di emergere gli spazi destinati agli arricchimenti particolari. Il senso della poesia viene fornito dalla straordinaria capacità di sintetizzare in esiguo spazio un rilevante numero di microcosmi sui quali l’animo del pittore si sofferma con affetto e commozione.

«Sono le inezie a illuminare i cuori» scrisse Giovanni Pascoli e Cassanelli ha tradotto in immagini il significato di queste parole. In doppia campitura, dal basso all’alto, il fitto affiorar dei tetti si proietta verso il mare lontano sotto una luce intensa ma opaca che esalta la pastellosità delle tinte.

Ogni tetto è trattato con pari minuziosità in un ordine assai variato, rispettoso però di un saldo senso geometrico. La luce promana, come vuole l’astronomia, da oriente e trascorre verso l’opposta estremità della tela con moto uniforme esaltando luci ed ombre di un immoto paesaggio nel quale l’accorta stesura dei colori conferisce solidità e spessore ai muri e ai coppi degli edifici che trovano storicità nel campanile e nella cupola e vita nella palma che emerge con discrezione in fondo a destra e si oppone, anche per virtù cromatica, al rosso mattone.

 

″Piazza Matteotti″ (60×80, 2018)

Piazza Matteotti è, per virtù propria e soprattutto per la sapienza rappresentativa del suo cittadino d’adozione, la più serena e complessa fra quelle che ho occasione di prendere in considerazione. Intanto si tratta di uno spazio chiuso sul quale, a differenza di altre occasioni similari, l’ombra ha scarsa importanza, limitata com’è ad un modesto scorcio sulla destra della visione che presenta, in campiture strettamente successive impostate su un senso della profondità degno dei maestri rinascimentali, una diagonale che introduce all’aiola sulla quale insiste il monumento a Giacomo Matteotti, segue un modesto edificio che chiude il versante sinistro della piazza, prima di concludersi contro altri palazzi per adagiarsi, a destra, contro una chiesa. In alto, dominante, un folto d’alberi che si perdono nell’azzurro del cielo.

Anche in questo caso nessuna presenza umana, ma i segni della loro presenza. Forse Cassanelli in tutta la sua opera si è ispirato a quanto ebbe a dire Percy Bysshe Shelley: «Dio consuma poco a poco l’umanità sino a quando resteranno solo le tracce del suo passaggio sulla terra, le uniche cose degne di ricordo. Il dramma è che non ci sarà nessuno a ricordare».”

Aldo Maria Pero
Critico d‘Arte